Nel nostro ordinamento giuridico si è sempre affermato che il risarcimento del danno non aveva alcuna funzione punitiva (al contrario di quanto accadeva, per esempio, in altri sistemi, vedi gli Stati Uniti d’America), ma solo reintegratoria, per così dire ripristinatoria, compensativa.
Una recente sentenza (Sent. n. 1078/17; Giudice Dott.ssa Dimatteo) del Tribunale di Bergamo ha ribadito l'esclusione dell'operatività della clausola arbitrale contenuta in un contratto d'appalto nell'ipotesi in cui venga invocata la responsabilità del costruttore per i gravi vizi e difetti che affliggono l'immobile costruito, responsabilità che, come noto, trova disciplina nell'art. 1669 cod. civ..
Non è raro che, a fronte della produzione in giudizio di un documento, ne venga contestata la sottoscrizione, dando così ingresso al procedimento di verificazione della scrittura privata. Più difficile è incorrere nella proposizione in via principale (vale a dire con un'azione a sé) dell'istanza di verificazione di scrittura privata.
Con la sentenza n. 11504/2017 pubblicata il 10 maggio 2017, la Suprema Corte di Cassazione sembra voler superare il precedente orientamento, cristallizzatosi in quasi ventisette anni di pronunce, che individuava nel “tenore di vita goduto in costanza di matrimonio” il parametro per accertare la sussistenza o meno del diritto ad ottenere l'assegno divorzile; ciò in favore del criterio della “indipendenza ed autosufficienza economica” del richiedente.
L'asserzione (vale a dire la deduzione in giudizio) dei fatti sui quali si basano le pretese e le eccezioni delle parti, deve trovare esplicitazione nel primo atto difensivo (atto di citazione o comparsa di risposta) o al più tardi – per quanto concerne il rito ordinario avanti il Tribunale – nella prima memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c., deputata alla precisazione ed integrazione delle domande. All'espletamento dell'attività asseverativa (diretta ad indicare i mezzi di prova relativi a quanto oggetto di asserzione) è invece riservata la seconda memoria e, nei limiti della prova contraria, la terza memoria previste dalla norma in argomento.
E' questo il principio sancito dalla sentenza n. 2263 del Tribunale di Bergamo depositata il 18 dicembre 2015 in esito ad un processo avente ad oggetto un grave incidente stradale, che ha visto coinvolti un autoveicolo ed un ciclomotore, sul quale viaggiavano due ragazzi, scontratisi frontalmente. A causa dell'urto entrambi i ragazzi che viaggiavano sul ciclomotore decedevano; non vi erano elementi per risalire a quale dei due fosse alla guida del motorino.