E’ opinione comune considerare che, in caso di incidente stradale che veda coinvolto un pedone, quest’ultimo non sia mai in torto.
E, del resto, molte volte è così. Sulla strada il pedone è spesso in pericolo in quanto “parte debole” rispetto agli automobilisti, ai quali viene richiesto di prestare particolare attenzione al fine di evitare il verificarsi di sinistri che possono avere anche delle conseguenze di particolare gravità.
A fronte di ciò, il primo comma dell’art. 2054 del Codice Civile pone una presunzione di colpa a carico del conducente del veicolo investitore, che può essere vinta se questi fornisce la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
Ciò non significa, tuttavia, che la condotta del pedone debba necessariamente andare esente da responsabilità.
Del resto, il Codice della Strada pone delle precise regole di comportamento anche in capo al pedone, con particolare riguardo alla manovra di attraversamento della carreggiata. Si richiama, sul punto, l’art 190 C.d.S..
Ad avviso della Corte di Cassazione, come confermato anche in una recentissima sentenza (n. 4551 del 22 febbraio 2017), la condotta posta in essere in violazione di tali regole di comportamento può portare non soltanto a limitare ma addirittura ad escludere la responsabilità in capo al veicolo investitore.
Ciò si verifica, in particolare, qualora “risulti provato che non vi era da parte di quest'ultimo alcuna possibilità di prevenire l'evento, situazione questa ricorrente allorché il pedone tenga una condotta imprevedibile e anormale, sicché l'automobilista si trovi nell'oggettiva impossibilità di avvistarlo e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti. Tanto si verifica quando il pedone appare all'improvviso sulla traiettoria del veicolo che procede regolarmente sulla strada, rispettando tutte le norme della circolazione stradale e quelle di comune prudenza e diligenza incidenti con nesso di causalità sul sinistro.” (cfr. Cass. Civ. n. 4551 del 22 febbraio 2017, conforme alle precedenti Cass. Civ. n. 21249 del 29 settembre 2006 e Cass. Civ. n. 9620 del 16 giugno 2003).
Del resto, la prova gravante sul conducente del veicolo ai sensi dell’art. 2054, primo comma, cod. civ. non deve essere necessariamente data, per pacifica giurisprudenza, in modo diretto – vale a dire dimostrando di avere tenuto un comportamento esente da colpa e perfettamente conforme alle regole del codice della strada – ma può risultare anche dall’accertamento che il comportamento della vittima sia stato il fattore causale esclusivo dell’evento dannoso, comunque non evitabile da parte del conducente, attese le concrete circostanze della circolazione e la conseguente impossibilità di attuare una qualche idonea manovra di emergenza (cfr. tra le altre Cass. Civ. 11 giugno 2010, n. 14064, cui si è conformata anche la giurisprudenza di merito).
Tali principi di diritto hanno trovato applicazione anche in una recentissima sentenza del Tribunale di Bergamo (n. 1789/2017) che ha rigettato le domande formulate da un pedone al fine di ottenere il risarcimento dei danni dallo stesso patiti a seguito dell’investimento da parte di una autovettura.
Ciò in quanto, dalle risultanze probatorie, è emerso che il pedone danneggiato, in totale spregio dell’art. 190 C.d.S., aveva attraversato la carreggiata in un punto privo di attraversamento pedonale sebbene ve ne fossero a poca distanza, in prossimità di una curva, a tarda ora della sera e durante una pioggia battente e che il conducente dell’autovettura nulla aveva potuto per evitare l’impatto.
Ogni caso concreto, dunque, richiede uno studio ed approfondimento, al fine di valutare gli eventuali profili di colpa ascrivibili all’uno, all’altro o ad entrambi i protagonisti di un sinistro stradale.
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