La Protezione Umanitaria riconosciuta dal paese che accoglie la persona straniera e che si traduce nel rilascio di un permesso di soggiorno sul territorio nazionale è conseguenza della condizione di estrema “vulnerabilità” in cui si troverebbe il richiedente in caso di rimpatrio.
Tale vulnerabilità deriva dalla situazione generale di estremo disordine in cui versa il proprio paese d’origine (dimensione oggettiva), oltre che degli elementi specificamente riguardanti la sua situazione personale (dimensione soggettiva), ed in particolare delle violenze che è stato costretto a subire e di quelle a cui potrebbe verosimilmente andare incontro.
In questi termini si esprime la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Sez. VI, sentenza 19/02/2015 n. 3347), la quale ha ribadito che i permessi umanitari costituiscono uno “strumento atipico da applicarsi in condizioni di vulnerabilità anche non coincidenti con le ipotesi normative delle misure tipiche” (ovvero, status di rifugiato e protezione sussidiaria).
E' questo un indirizzo giurisprudenziale condiviso dalla giuriprudenza di merito; di sicuro interesse è l'ordinanza del Tribunale di Trieste, 18/04/2015, R.G. n. 3149/2015 la quale, accogliendo parzialmente il ricorso di un cittadino bengalese, ha affermato che “per quanto concerne la situazione del Bangladesh, si osserva che se è vero che nel Paese in oggetto non può dirsi in atto un conflitto armato interno, che provochi una situazione di violenza indiscriminata, la situazione ingravescente è tale da provocare un effetto ad esso avvicinabile, che costituisce una minaccia per il ricorrente nel caso di suo rientro in patria, sì da giustificare (in assenza, peraltro, di elementi considerati coerenti e plausibili, nel caso di specie, da parte della Commissione) il riconoscimento a suo favore della protezione umanitaria. Non è dubitabile, infatti, che la grave instabilità politica dello Stato in oggetto, la criticità della situazione socio-politica e l’insufficiente rispetto dei diritti umani, costituiscano seri motivi per la concessione della predetta tutela”.
In definitiva, la sussistenza di condizioni di grave vulnerabilità in capo al richiedente risultanti da un insieme di fattori sia “oggettivi” che “soggettivi”, rendono possibile il riconoscimento della protezione richiesta.
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