La Sezione Lavoro del Tribunale di Bergamo ha voluto, ancora, ribadire la natura pressoché oggettiva della responsabilità del datore di lavoro nel caso di infortunio occorso al dipendente.
Con la sentenza n. 754/18 del 22 novembre 2018 la Sezione Lavoro del Tribunale di Bergamo ha affermato che “la normativa antinfortunistica è diretta a tutelare il lavoratore anche dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, negligenza ed imperizia”. Continua la sentenza in argomento affermando che “le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso”.
Da ciò consegue, secondo il Giudice orobico, che – si cita testualmente – “il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente”.
Di sicuro rilievo è il fatto che, secondo la sentenza in argomento, non riveste alcun effetto esimente per il datore di lavoro l'eventuale corresponsabilità del lavoratore. In buona sostanza, ed a quanto par di capire, il comportamento del dipendente che abbia posto in essere comportamenti negligenti ed imprudenti, non viene tenuto nella benché minima considerazione, nemmeno ai fini della determinazione, in concreto, dell'importo dovuto a titolo di risarcimento del danno; il comportamento del lavoratore (anche se imperito, negligente o improdente) non rileverebbe quindi nemmeno ai sensi dell'art. 1227 cod. civ., se non nel caso in cui assuma le caratteristiche dell'inopinabilità, dell'esorbitanza e dell'abnormità.
Ed è certo che, ricorrendo ad una valutazione del comportamento del datore di lavoro e del lavoratore sulla base di una di “prognosi postuma” (vale a dire di una valutazione a posteriori in ordine al comportamento esigibile dal primo e dal secondo), vada sempre più affermandosi una sorta di oggettivizzazione della responsabilità del datore di lavoro. Ed invero, sempre più arduo appare fornire la prova – e convincere il Giudicante – che il comportamento del lavoratore infortunato abbia assunto i caratteri dell'abnormità, dell'inopinabilità e dell'esorbitanza, ai quali la sentenza in argomento riconosce iportanza tale da elidere la responsabilità del datore di lavoro; ed è un dato di comune esperienza che il confine tra "abnormità" ed "imperizia" non sia sempre netto.
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