di Nicoletta Giazzi

Le Sezioni Unite si pronunciano, ancora, sulla funzione dell'assegno divorzile.

Il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tener conto per la relativa attribuzione e determinazione e, in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economiche-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto”.

E' il principio di diritto enunciato dalla Cassazione Civile, Sezioni Unite, 11 luglio 2018, n. 18287 che traccia un indirizzo interpretativo dell'art. 5 della legge 1 dicembre 1970 n. 898 capace di mediare tra il principio di autoresponsabilità e quello della pari dignità dei coniugi.

In buona sostanza, il diritto a vedersi riconosciuto l'assegno divorzile non dipende solo dalla non “autosufficienza economica” di chi lo richiede, o dall'esigenza di consentire al coniuge richiedente privo di “mezzi adeguati” il ripristino del medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; tale diritto sorge anche nel caso in cui debba porsi rimedio ad uno squilibrio economico-patrimoniale (funzione perequativa) derivante dal vissuto dei coniugi e dalle scelte e dai ruoli, condivisi, che hanno caratterizzato la vita familiare (funzione compensativa).

Le Sezioni Unite dunque, oltre a confermare la funzione assistenziale dell'assegno divorzile, sembrano voler valorizzare la sua funzione perequativa e compensativa, individuando nel diritto al predetto assegno, e nella sua determinazione quantitativa, il mezzo per riconoscere il contributo dato da ciascun coniuge alla vita familiare.

In sintesi, la pronuncia in esame pare voler superare i precedenti orientamenti giurisprudenziali, dettando i nuovi presupposti per il riconoscimento del diritto all'assegno e per la sua quantificazione: disparità economico-patrimoniale determinatasi con il divorzio (da accertare grazie all'obbligo della produzione della documentazione fiscale), inadeguatezza dei mezzi del richiedente o la sua incapacità di procurarseli per ragioni oggettive e valutazione del contributo fornito da quest'ultimo alla formazione del patrimonio comune e a quello dell'altro coniuge, con verifica dei criteri stabiliti dall'art. 5, comma 6, della legge sul divorzio.

A tale principio di diritto pare ispirarsi il Tribunale di Bergamo; recentemente – seppure, allo stato (e per quanto concerne il caso specifico che ha impegnato il nostro studio), solo in sede di assunzione dei provvedimenti Presidenziali temporanei – il Giudice orobico ha riconosciuto alla moglie (attualmente lavoratrice part-time con una sensibile disparità reddituale rispetto al marito) la quale, in costanza di matrimonio, aveva lasciato il lavoro per impegnarsi nella gestione della casa e nell'educazione dei figli, il contributo al suo personale mantenimento.

Non resta che attendere la pronuncia all'esito del giudizio e, più in generale, di conoscere quale sarà l'ulteriore applicazione che di tale indirizzo giurisprudenziale farà il nostro Tribunale.


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