Gli stranieri che annoverano nel proprio albero genealogico un avo italiano hanno diritto di far accertare il loro status di cittadini italiani iure sanguinis, anche quando si sia frapposto nella linea di discendenza, tra loro e l’avo italiano, un soggetto di sesso femminile nato prima dell’entrata in vigore della Costituzione italiana.
Trattasi dell’accertamento del diritto allo status di cittadino italiano iure sanguinis per discendenza materna. E’ il caso, frequente, degli attuali discendenti di avi italiani che, agli inizi del 1900, erano emigrati in Sud America per ragioni economiche.
 
Necessita un apposito procedimento davanti al Giudice Ordinario (in Sezione specializzata, istituita con il c.d. Decreto 13/2017 c.d. “Orlando- Minniti”).

E ciò, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, 1 c. lett. a) L. 91/1992, nonché delle sentenze della Corte Costituzionale n. 87/1975 e n. 30/1983 dichiarative dell’illegittimità costituzionale, rispettivamente, degli artt. 10, 3 c. e 1 n. 1 della Legge n. 555/1912.

In base a detta ultima legge, una donna non poteva trasmettere la propria cittadinanza italiana e se sposata con uomo straniero la perdeva. Meglio, gli artt. 1 e 10 L. 555/1912 prevedevano, rispettivamente, che l’acquisto della cittadinanza italiana iure sanguinis fosse possibile solo per via paterna e che, di converso, la cittadina italiana sposata con straniero il cui status civitatis si trasmette ope legis alla moglie perdeva detta cittadinanza.

Le sentenze numero 87/1975 e 30/1983 della Corte Costituzionale hanno dichiarato incostituzionali dette norme, con l’effetto, rispettivamente, di abrogare da un lato il citato motivo di perdita della cittadinanza italiana e di prevederne dall’altro l’acquisto anche per via materna.

Ma, per i nati da cittadina italiana prima del 1 gennaio 1948, si è teorizzato in diritto il mancato acquisto della cittadinanza italiana per l’impossibile retroattività, ad un tempo anteriore rispetto a quello dell’entrata in vigore della Costituzione, degli effetti di pronunce di incostituzionalità che presuppongono un contrasto normativo che, appunto, in detto momento, ancora non poteva esistere.

Tuttavia le sezioni unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 4466/09) hanno riproposto la teoria della c.d. incostituzionalità sopravvenuta delle norme precostituzionali dichiarate illegittime, rilevando come il diritto allo status di cittadino italiano sia determinato non tanto dall’evento nascita, quanto piuttosto dal rapporto di filiazione, ed il suo accertamento sia quindi l’effetto automatico del rilievo di una persistente e permanente discriminazione e di una lesione di un diritto soggettivo imprescrittibile e sempre giustiziabile, salvi gli effetti di eventuali giudicati e rinunce (“conseguenza della applicazione di una legge incostituzionale a decorrere dal 1 gennaio 1948 (...) Sul piano logico prima che su quello giuridico (...) la cessazione degli effetti della legge illegittima perché discriminatoria, non può non incidere immediatamente e in via sulle situazioni pendenti o ancora giustiziabili, come il diritto alla cittadinanza, potendo in ogni tempo, dalla data in cui la legge è divenuta inapplicabile, essere riconosciuto l’imprescrittibile diritto alla mancata perdita o all’acquisto della stato di cittadino degli ascendenti della ricorrente e quindi il diritto di questa alla dichiarazione del proprio stato (...) Le norme precostituzionali riconosciute illegittime per effetto di sentenze del giudice della legge sono inapplicabili e non hanno più effetto dal 1 gennaio 1948 sui rapporti su cui ancora incidono, se permanga, la discriminazione delle persone per il loro sesso o la preminenza del marito nei rapporti familiari, sempre che ci sia una persona sulla quale determinano ancora conseguenze ingiuste, ma giustiziabili, cioè tutelabili in sede giurisdizionale”) (da ultimo conformi, in sede di merito: Tribunale di Firenze 14/05/13; Tribunale di Roma 19/01/17, 03/04/17, 13/04/17).

Al riconoscimento di tale diritto non ostano l’eventuale carenza di dichiarazioni di riacquisto da parte degli ascendenti del richiedente e nemmeno la morte degli stessi, purché però non via sia stata una loro rinuncia, la cui prova tuttavia spetta a chi si oppone a detto riconoscimento.


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