In una recente sentenza (la n. 456/18) il Tribunale di Bergamo affronta il problema dell'utilizzabilità, quale fonte di libero convincimento, le dichiarazioni rese dalla parte in sede di giuramento decisorio, al cui espletamento è seguita la revoca dell'ordinanza che aveva ammesso tale mezzo istruttorio.

Dopo aver ribadito la propria ordinanza di revoca del mezzo istruttorio del giuramento decisorio (revoca che il Giudice ha ritenuto sempre possibile, anche successivamente all'espletamento del giuramento medesimo), su sollecitazione del difensore dell'attore – il quale avrebbe voluto “recuperare” una qualche valenza, quanto meno indiziaria, delle dichiarazioni rese da una delle parti convenute in sede di giuramento – il Giudice prende posizione sulle cosiddette “prove anomale”, giungendo alla conclusione della totale inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla parte in quella sede.

Il Giudicante ha ritenuto che “quando una prova non doveva essere ammessa, i vizi dell'ammissione contaminano l'acquisizione: la prova inammissibile ... non è materiale idoneo alla decisione”.

Il Giudice ritiene che dare ingresso ad una qualsiasi rilevanza ad un prova “anomala”, e cioè volta ad aggirare divieti o preclusioni e, quindi, diretta a consentire l'ingresso nel processo di elementi altrimenti non ammessi, significherebbe “creare uno iato, non fondato sul diritto positivo, tra le regole che presidiano l'ammissibilità dei singoli mezzi di prova e le regole che attengono alla loro efficacia probatoria”.

A sostegno della sua decisione, il Giudice del Tribunale di Bergamo fa riferimento alla giurisprudenza di legittimità secondo la quale, pur non essendo vietato al Giudice porre a fondamento della decisione prove non espressamente previste dalla legge processuale (purché, s'intende, sia fornita adeguata motivazione in merito alla loro utilizzazione), va escluso che “le prove c.d. “atipiche” possano valere ad aggirare divieti o preclusioni dettati da disposizioni, sostanziali o processuali, così introducendo surrettiziamente elementi di prova che non sarebbero altrimenti ammessi o la cui ammissione richieda adeguate garanzie formali” (Cass. 5440/10).

Sulla conclusione cui giunge il Giudice del Tribunale di Bergamo si può e si deve convenire; opinando diversamente significherebbe introdurre un'ingiustificabile incoerenza tra le norme che governano l'ammissione delle prove e quelle che riguardano l'efficacia di queste ultime.

In definitiva, secondo il Giudice estensore della sentenza in commento, l'inammissibilità del mezzo di prova corrompe irrimediabilmente la prova stessa rendendola inutilizzabile, ponendo – come autorevole dottrina ebbe ad evidenziare – una sorta di equazione tra prova irritualmente ammessa e prova processualmente inefficace. Insomma, quasi un tentativo di sdoganare nel processo civile il principio sancito dall'art. 191 del codice di procedura penale; ma quello della prova illecita nel processo civile è questione che merita ben altro approfondimento.

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