Di Nicoletta Giazzi

Quella della risarcibilità del danno derivante dalla morte del coniuge nel caso di separazione è questione affrontata in più di un'occasione, sia dai Giudici di merito che dalla Corte di Cassazione; non è infatti escluso a priori, per il solo fatto che i coniugi risultano essere separati, di fatto o financo legalmente, l'accesso al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla perdita del rapporto parentale.

Per ripercorrere l'orientamento consolidatosi, è opportuno ripercorrere alcune pronunce.

La Suprema Corte ha affrontato la questione già nell'anno 2013 (Cass. Civ. n. 1025/2013), fornendo un chiarimento importante sulla platea dei soggetti legittimati a formulare la domanda di risarcimento dei danni subiti a seguito della morte di un prossimo congiunto, per fatto illecito di un soggetto terzo, riconoscendo tale diritto, seppure a determinate condizioni, anche al coniuge separato.

In particolare, al vaglio della Cassazione veniva posto il caso di una donna rimasta vittima di un gravissimo sinistro stradale e della conseguente richiesta danni avanzata dai prossimi congiunti della stessa (figlio, padre, madre, fratello della vittima), oltre che dal di lei marito, separato.

Il Tribunale di Milano, all'esito del primo grado di giudizio, aveva accolto la domanda dei danneggiati, compresa quella del marito, condannando i responsabili del sinistro al risarcimento dei danni tutti, anche non patrimoniali, patiti dai familiari.

La sentenza appellata veniva sostanzialmente confermata dalla Corte d'Appello di Milano, la quale condivideva il principio per il quale la condizione di separato non è di per sé ostativa all'accoglimento della domanda di risarcimento dei danni, pur riducendo (e precisamente dimezzandolo), l'importo inizialmente riconosciuto al coniuge separato.

La Corte di Cassazione, interpellata al fine di valutare la legittimità della riduzione del quantum debeatur operata dal Giudice del gravame rispetto al risarcimento accordato al marito separato della vittima, rigettava il ricorso trattandosi di indagine di merito, pertanto insuscettibile di censura in Cassazione laddove la sentenza impugnata risultasse adeguatamente motivata; la Corte coglieva tuttavia l'occasione per confermare il principio giuridico già enunciato dalla Corte d'Appello milanese.

Precisamente, la Suprema Corte affermava che “il risarcimento del danno non patrimoniale può essere accordato al coniuge, ancorché separato legalmente, purché si accerti che l’altrui fatto illecito abbia provocato quel dolore e quelle sofferenze morali che solitamente si accompagnano alla morte di una persona cara”.

In buona sostanza, per accedere al predetto risarcimento si chiede che l'istante fornisca la prova della effettiva persistenza, stante la condizione di separazione ed il venir meno di un progetto di vita comune, di un vincolo affettivo particolarmente intenso con la vittima del sinistro. Trattasi di indagine che i Giudici di merito sono chiamati a condurre caso per caso, sulla base degli elementi di fatto allegati e provati (quali, ad esempio, nel caso sottoposto all'esame della Corte di Cassazione, la presenza di un figlio molto piccolo all'epoca del fatto, ovvero il breve lasso di tempo intercorso tra l'interruzione del legame coniugale ed il sinistro mortale).

Lo status di persona separata, dunque, non è di per sé incompatibile con la posizione di danneggiato, ben potendo il coniuge superstite aver subito un danno dalla perdita improvvisa dell'altro coniuge; ciò, peraltro, solo a fronte della imprescindibile dimostrazione della permanenza, nonostante la separazione, di un profondo vincolo affettivo.

Trattasi di principio confermato dalla Cassazione Civile anche nella sentenza n. 25415/2013 laddove si legge che “Il risarcimento del danno non patrimoniale può essere accordato al coniuge anche legalmente separato, attesa - oltre alla pregressa esistenza di un rapporto di coniugio nei suoi aspetti spirituali e materiali e all'eventuale sussistenza di figli - la non definitività di tale "status" e la possibile ripresa della comunione familiare, fermo restando che, per la determinazione della natura ed entità dei danni (nella specie per la sopravvenuta morte del coniuge), è necessaria l'allegazione e la prova dello "status" di separato. Ne consegue che, ove il coniuge si sia limitato a chiedere genericamente la liquidazione del danno per tale sua qualità, senza ottemperare a tale onere, la replica con la quale il convenuto eccepisca lo "status" di separato non costituisce una eccezione in senso proprio (e non è soggetta alle relative preclusioni), ma integra una mera allegazione difensiva. (Rigetta, App. Trento, 12/07/2007)”.

Parimenti la Corte Suprema in una più recente pronuncia, Cassazione Civile, sez. III, 4.11.2019 n. 28222, riaffermava che “Il risarcimento del danno non patrimoniale può essere riconosciuto al coniuge separato a condizione che si accerti che il fatto illecito del terzo abbia provocato quel dolore e quelle sofferenze morali che di solito si accompagnano alla morte di una persona cara, previa dimostrazione che, nonostante la separazione, anche se solo di fatto, e non giudizialmente o consensualmente raggiunta, vi sia ancora un vincolo affettivo particolarmente intenso”; proprio in applicazione del predetto principio, gli Ermellini confermavano la sentenza del Giudice di merito che aveva escluso il diritto della moglie al risarcimento del danno per l'uccisione del marito, il quale, pur senza addivenire alla separazione legale ma solo di fatto, aveva intrapreso una nuova relazione affettiva e, da oltre venti anni, aveva cessato la convivenza ed ogni altro rapporto con l'attrice.

In buona sostanza, in assenza dell'evidenza – della prova – della continuità del vincolo affettivo tra i coniugi, non può essere accordato alcun risarcimento.

Da quanto sin qui rilevato può quindi affermarsi che:
- lo status di persona separata non è a priori incompatibile con la posizione di danneggiato;
- lo status di persona separata non fa venir meno la legittimazione attiva nell'eventuale causa di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale;
- lo status di persona separata non esclude a priori la possibilità di vedersi riconosciuto il danno da perdita del rapporto parentale;
- l'onere della prova della permanenza di un intenso vincolo affettivo tra le parti grava sull'istante;
- la prova deve essere rigorosa e fondata su elementi di fatto concreti;
- lo status di persona separata incide sul quantum del risarcimento accordato.

La Corte di Cassazione è rimasta ferma su tali principi, oltre che sul rigore della prova, chiedendone l'applicazione anche laddove la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale a seguito della perdita del rapporto parentale, viene avanzata dal coniuge superstite (non separato) per la morte dell'altro coniuge cagionata da un ingiusto fatto altri.

In particolare la Suprema Corte nella sentenza n. 31950/2018 ricorda il principio giurisprudenziale in forza del quale nessun danno, neppure il danno non patrimoniale, può considerarsi in re ipsa, né può ritenersi dovuto a priori per il sol fatto che l'istante e la vittima erano legati da vincolo di coniugio. La sussistenza di un siffatto legame, infatti, non è necessariamente prova dell'esistenza di un vincolo affettivo tra le parti e di un progetto di vita comune, trattandosi di mera presunzione superabile allegando e provando elementi di segno contrario.

Nel fattispecie esaminata nella citata sentenza, la Corte di Cassazione, con riferimento al rigetto all'esito del secondo grado di giudizio della domanda risarcitoria del coniuge sposato, così si esprimeva: “Il fatto illecito costituito dalla uccisione di uno stretto congiunto appartenente al ristretto nucleo familiare (genitore, coniuge, fratello) dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella sofferenza morale che solitamente si accompagna alla morte di una persona cara e nella perdita del rapporto parentale e conseguente lesione del diritto all'intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che ordinariamente caratterizza la vita familiare. Siffatta presunzione semplice può, tuttavia, come tale, essere superata da elementi di segno contrario, quali la separazione legale o (come nel caso di specie) l'esistenza di una relazione extraconiugale con conseguente nascita di un figlio tre mesi prima della morte del coniuge (relazione extraconiugale che costituisce evidente inadempimento all'obbligo di fedeltà tra coniugi di cui all'art. 143 cod. civ.). In tal caso, grava sul coniuge superstite l'onere di dimostrare di avere effettivamente subito, per la persistenza del vincolo affettivo, il domandato danno non patrimoniale”.

La Corte dunque confermava la sentenza d'appello che respingeva la domanda risarcitoria del marito e ciò in quanto il richiedente non aveva provato – a fronte di una circostanza (relazione extraconiugale) che, secondo la comune esperienza, costituisce un sintomo del deterioramento del rapporto coniugale – la perdurante sussistenza tra i coniugi di un vincolo affettivo.

Quanto detto, dunque, vale ad affermare che l'accesso al risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale non può mai considerarsi in re ipsa, né che tale voce di danno sia dovuta a priori.

L'esistenza formale di un legame familiare, e più precisamente coniugale, così come il suo venir meno per il subentro della condizione di separazione dei coniugi, non costituiscono condizioni che garantiscono o negano, aprioristicamente, l'accesso al predetto diritto, essendo piuttosto onere del richiedente dimostrare l'esistenza e la permanenza di un intenso vincolo affettivo.

Lo status di coniuge o lo status di separato costituiscono pertanto presunzioni semplici, da un lato, della sussistenza, dall'altro, della cessazione, di un vincolo affettivo, ma proprio in quanto presunzioni semplici sempre superabili a fronte della prova di fatti di segno contrario.


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