di Giulia Bettini

In una recentissima sentenza (la n. 1286/18) la Corte d'Appello di Brescia ribadisce come il giudice del reclamo proposto ex art. 18 della Legge Fallimentare possa, nel caso di vizio nella vocatio in ius nel procedimento volto alla dichiarazione di fallimento (nella specie, per il mancato rispetto del termine a difesa previsto dalla Legge Fallimentare), possa e debba decidere nel merito dell'istanza di fallimento, senza dover rimettere le parti al giudice di prime cure. Ed ancora, la Corte conferma come il termine annuale di cui all'art. 10 della Legge Fallimentare non operi quale termine di prescrizione o di decadenza, avendo la precipua funzione di garantire la certezza delle situazioni giuridiche.

La Corte richiama e fa proprio un orientamento di legittimità (nello specifico, la recente sentenza n. 19420/2017), secondo cui il vizio consistente nel mancato rispetto del termine di cui all'art. 15 della Legge Fallimentare (che non aveva consentito all’interessato di predisporre e proporre le opportune difese in sede di udienza prefallimentare) viene “sanato anche in sede di reclamo, come accade nel processo ordinario di cognizione, in quanto il reclamante può svolgere tutte le difese e le eccezioni che non ha potuto svolgere in primo grado, non trattandosi di fattispecie che comporta la rimessione al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c.”.

Il Giudice del reclamo proposto ai sensi dell'art. 18 della Legge Fallimentare deve pertanto pronunciarsi nel merito dell'istanza di fallimento, avendo il reclamante la possibilità di svolgere in quella sede tutte le attività latu sensu difensive e proporre le eccezioni che avrebbe potuto svolgere avanti al giudice di prime cure; ciò diversamente alla fattispecie di nullità della notificazione, nel qual caso il giudice del reclamo avrebbe dovuto rimettere gli atti al Tribunale.

La sentenza in argomento si segnala altresì per avere la Corte, pur dovendo entrare nel merito, respinto l'istanza di fallimento essendo ormai decorso il termine annuale di cui all'art. 10 della Legge Fallimentare, termine che – si badi – era spirato non già alla data della dichiarazione di fallimento pronunciata dal Tribunale, ma al momento della pronuncia della stessa Corte d'Appello.

Il Giudice del reclamo ha quindi aderito all’orientamento maggioritario in relazione al citato art. 10 della Legge Fallimentare, secondo cui il termine di un anno previsto dalla predetta disposizione normativa "non opera come un termine di prescrizione o decadenza, ma costituisce un limite oggettivo per la dichiarazione di fallimento (Cass. 28 marzo 1969, n. 998), svolgendo non tanto la funzione di tutelare i creditori rispetto all'inatteso venire meno della qualifica d’imprenditore commerciale nel loro debitore, quanto la funzione di garantire la certezza delle situazioni giuridiche e l'affidamento dei terzi (altrimenti esposti illimitatamente al pericolo di revocatorie), ponendo un preciso limite temporale alla possibilità di dichiarare il fallimento di chi non è più imprenditore” (tra le altre Cass. Civ. 8932/2013).

Per l’effetto, il dies ad quem del termine annuale dell’art. 10 L.F., decorrente dalla cancellazione dell’imprenditore dal registro delle imprese, non può che essere individuato nella data di pubblicazione della sentenza di fallimento, senza che la tempestiva proposizione dell’istanza per la dichiarazione di fallimento – come è avvenuto nel caso di specie – possa produrre un qualsivoglia effetto “prenotativo”, in ossequio al principio della certezza dei rapporti giuridici.


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